lunedì 24 agosto 2015

DAL MARE ALLA MONTAGNA 2015. CALDO. DOLORI. SECONDO!

 A volte ci si trova a recitare il ruolo di protagonista in gare dove non te lo aspetti, per una serie di coincidenze che (non mi faccio illusioni, eh) mi vedono al via di una gara da sempre dominata dai top runner del nord Sardegna che ieri erano però assenti. Parlare della gara di Villanova Monteleone non è semplice, durante la corsa ti attraversano diecimila pensieri tutti insieme che cercano in tutti i modi di distrarti dal dolore rappresentato dalla salita costante e suicida che dal mare porta allo splendido paese di Villanova Monteleone. Siamo in cinque della nostra squadra, tutti determinati ad arrivare in cima, e sebbene Tonio, che l'anno scorso aveva corso benissimo, e Mario abbiano avuto qualche problemino, abbiamo portato tutti la casacca verde al traguardo, con Pierangelo che ha registrato uno splendido crono alla prima esperienza e Salvatore che M55 registra 1h e 30'.

Sarà anche perché avevo il mio piccolo gruppo di tfosi personali, mia moglie, mio figlio, una coppia di amici e un cugino di mia moglie con consorte, ma l'ansia la sento fin da subito, perché son fatto così e non ci posso fare nulla, ho paura sempre di deludere e cerco in tutti i modi di portare a casa almeno il massimo che posso fare. Dovessi anche trascinarmi fino in cima con le gambe in un sacchetto. 
Come sempre però l'ansia mi abbandona allo start, appena la pistola spara mi trovo subito davanti, e l'ansia lascia il posto al peso di impostare il ritmo, mai facile in una gara dove devi gestire 18 km di puro dolore. Guardo il cronometro solo nei primi 3 km, e come l'anno scorso una volta iniziata la scalata giro l'orologio e mi costringo a dimenticarmene. I primi passaggi li faccio folli e non so nemmeno perché mi faccio del male, con il caldo opprimente che supera i 30 gradi e le montagne che bloccano pure il vento facendotene percepire 300. Primo km 3'57", al secondo passo addirittura con il crono che segna 7'40", complice una leggera discesa. Comincio a respirare affannosamente, ma è solo il segno che il cuore si sta mettendo a regime ed è pronto per macinare i km. Mi affianca quello che poi sarà il vincitore, e arriviamo insieme ai piedi di quella che per i successivi 5 km e mezzo sarà una lunga agonia, la linea di demarcazione tra una gara riuscita e una crisi che può comprometterla. In barba alle cautele decido proprio lì di attaccare in maniera pesante per provare a staccare il mio compagno di viaggio. La mia tattica suicida è quella di arrivare in testa fino in cima e poi gestire la gara nella prima discesa prima di salire nuovamente. Prendo come bibbia sacra le parole prima della partenza del presidente Fidal Lai, che ci consiglia di sfruttare tutti i ristori disposti lungo il percorso, la maggior parte dei quali proprio nella parte più pesante. Inizialmente non è così brutto salire, ma quando le pendenze superano il 10% e il vento cala bruscamente ti sembra di essere finito su un pianeta terribile. Sono completamente solo a sentire i miei passi, dietro il mio compagno di viaggio si fa sempre più lontano, ringrazio ogni singolo volontario, tutti encomiabili, che mi passano una bottiglietta d'acqua preziosa come oro. Le persone lungo il percorso mi incitano e la sensazione è spettacolare, su un ristoro è una bambina che chiede agli adulti se può darmi lei l'acqua, ringrazio anche lei, su una salita particolarmente brutta un'altra bambina si affianca e prova a correre una cinquantina di metri con me, sorrido, e tutti quei piccoli gesti mi spingono sempre più su. Come avevo preventivato, arrivo in cima per primo...

Ma anziché il sollievo provato l'anno prima, le gambe si irrigidiscono, e la mia discesa non è per nulla brillante. A metà discesa sento dei passi avvicinarsi, e inevitabilmente devo lasciare il passo al toscano, veterano della gara, che poi andrà a vincere tutto solo. Provo a seguirlo, ma non c'è brillantezza nelle gambe, e quando sta per cominciare la seconda salita il vantaggio è già troppo. E qui comincio ad aver paura di perdere anche la seconda piazza, i miei passi echeggiano tra le colline, e continuo a chiedermi se sia il rumore delle mie scarpe o di qualcuno dietro di me, forse più di uno. Vedo la cima sempre più vicina ma sembra sempre troppo lontana, a ogni curva cerco di riconoscere quello che è l'ingresso del paese, e infine vedo il capannone verde dell'impianto sportivo, che mi dice che ormai ci siamo. Come ogni volta, lì mi dimentico di essere sull'orlo dello sfinimento e mi lancio giù in paese, stavolta mi sembra addirittura più corto il tragitto che porta al traguardo, sento il calore delle persone lungo i lati delle strade, e al traguardo mi accolgono come nemmeno mi aspettavo, con complimenti, e anche un invito al microfono dove cerco di mettere insieme due parole coerenti prima di fiondarmi ai ristori per divorare anguria e melone e riunirmi al piccolo team che mi ha fatto da supporto.

Stanco, dolorante, ma felice come una pasqua. E l'anno prossimo ci sarò ancora.